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   Escursionismo
     Escursione al rifugio Bozzi per il recital di Marco Paolini
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ConteOliver
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Re: Escursione al rifugio Bozzi per il recital di Marco Paolini
Uffa!!! che barba, direte voi, già qui a replicare....

Beh, avete ragione, ma ho appena trovato due articoli su BresciaOggi che spiegano tutto molto meglio di quanto abbia fatto io. Li riporto qui di seguito.

A proposito.... il vecchio Alpino a cui accennavo prima, è proprio un vero reduce e la strada per arrivare su e tornare indietro se l'è fatta tutta a piedi...



Da BresciaOggi del 11-8-2006
1° articolo


L’attore bellunese ha portato al rifugio Bozzi il testo tratto dal libro di Rigoni Stern. Lo spettacolo nell’ambito di «Passi nella neve»

Paolini, il «Sergente» commuove

Lo spettacolo alle otto di mattina. «Ho chiesto un piccolo sforzo agli spettatori»


di Eugenio Barboglio



Lui, Marco Paolini, del libro di Rigoni Stern ha tenuto il pathos, il senso della tragedia, e ci ha aggiunto il comico, la battuta fulminante. Il comico, che a Rigoni è la cosa che è piaciuta meno dello spettacolo che l’attore bellunese ha tratto dal suo libro più famoso. Ma da chi ha patito in prima persona le sofferenze della ritirata di Russia che sono il tema del «Sergente», ce lo si può aspettare.
Paolini ha ricordato anche queste perplessità dello scrittore al termine dello spettacolo che ha rappresentato ieri ai 2400 metri del rifugio Bozzi sopra Ponte di Legno, lo spettacolo tratto per l’appunto da «Il sergente nella neve», il long seller di Mario Rigoni Stern, e inserito nella rassegna «Passi nella neve - teatro, racconti, voci in Adamello». Ha anche raccontato dei primi insuccessi che questo testo ebbe all’indomani della stesura, e delle modifiche che lo hanno limato fino a fargli raggiungere la forma che ieri mattina è tanto piaciuta al migliaio di persone salite fin lassopra.
Paolini non è la prima volta che recita i suoi monologhi in mezzo ai monti. Lo fa talvolta sulle Dolomiti. Ma sono semplici letture, appunto, mentre nel caso del Sergente si è trattato di un vero e proprio spettacolo, con uno stage, con un’organizzazione dietro. Ma la scenografia che ha contato nel successo dell’evento e che lo ha fatto così straordinario, non è certo quella portata su con gli elicotteri il giorno prima. Di artificiale nella scena calcata dal performer veneto c’è poco: le assi di un palcoscenico, una sedia rossa che fungerà anche da zaino, un telo steso sulle assi, una sciarpa, un leggìo e un... aiutante, dominus dei rumori di fondo: arie alpine, lo scandire dei nomi dei compagni morti e dei colpi di fucile. Di più, molto di più, ha fatto lo sfondo bruno dei monti, il suggestivo retroscena della rappresentazione data all’aperto, molto presto, alle otto di mattina. È c’è una ragione, non il caso nella scelta di quell’ora, una strategia bisognerebbe dire. Paolini ha voluto che in qualche modo fosse una conquista questo spettacolo, una fatica, uno sforzo, come conquista, fatica e sforzo è la montagna. E i mille saliti al Bozzi come conforto, come risarcimento hanno trovato non i silenzi e la pace delle montagne, ma parole, quelle tragiche di Rigoni Stern dette e rivisitate da Paolini. Che le ha declamate con la consueta capacità affabulatoria, senza «recitare», senza far sembrare che lo stia facendo. Paolini anche ieri mattina - forse ancor di più ieri mattina che non era in un teatro, se non in quello naturale dell’Adamello, in mezzo a persone sedute in terra - è sembrato una volta di più non l’attore «consacrato» ma l’amico più bravo a raccontare, quello attorno al quale naturalmente si fa folla, quello che rapisce l’attenzione. E lo ha fatto per quasi due ore, riuscendo a non fare sentire il freddo, che pure un po’ c’era, a nessuno.
Intrecciando dialetto e italiano, lacrime e sorrisi, ha raccontato l’epopea dell’Armir, soldati italiani malearmati, senza «il pelo per fare gli invasori», ma che avrebbero voluto «andare a sciare con i russi sul ghiaccio del Don». Sorrisi, a partire da quel suo modo di pronunciare la parola Don, calcando da veneto - come farebbe per Benetton - l’accento sulla O. Un modo che lo fa sentire vicino a noi, come accade con i passaggi recitati nel nostro dialetto quando «entrano in scena» i tanti bresciani del libro. Ma c’è anche tanta fame, paura, freddo, soprattutto il freddo, e la speranza di ritornare «Ariverem a baita, sergente magiur?» è il tormentone dolente.



2° articolo
Partenza prima dell’alba da Pontedilegno. Due ore di cammino

Un reduce di ottantaquattro anni
con altri mille lungo il sentiero

Una lunga «S» disegnavano gli alpini italiani durante la ritirata in Russia. Una «S» disegna, assecondando il sentiero, anche «l’armata» degli afficionados di Marco Paolini che sale verso il rifugio Bozzi. Salgono in un migliaio per vedere l’attore bellunese che ha scelto di ambientare il suo Sergente nello scenario delle montagne bresciane, uno scenario non qualsiasi, ma fitto di segni che rimandano alla Grande guerra.
Lì sopra, attorno al rifugio, la montagna è punteggiata da fortificazioni, è un groviera di gallerie scavate a difesa del fronte del ’15-18. Due guerre che si congiungono simbolicamente. Il posto «parla», mentre esplicitamente non lo ha fatto Paolini che ha accostato le due tragedie collettive solo nella denuncia dell’insensatezza della guerra tout court che è il testo stesso del Sergente, e prima ancora le righe de «Il Sergente nella neve».
L’evento di ieri mattina ha avuto questo di straordinario: che il pubblico è stato protagonista non meno di Paolini. Lo è diventato affrontando le due ore di cammino che ci sono volute per salire al Bozzi. Una piccola sofferenza in nome dell’altra, rappresentata sul palcoscenico, degli alpini sterminati nella steppa.
Il serpentone ha cominciato a muoversi prima delll’alba, quando è ancora buio. Il fiume di quelli che sarebbero diventati pubblico, è all’inizio di montanari, nel senso di appassionati di montagna. I visi, l’andatura, l’abbigliamento non mentono. I punti da dove si parte sono diversi, ma la maggioranza prende le mosse da Case di Viso, località di piccole casupole di pietra (qualcuno ha scelto invece di scendere dal passo dei Contrabbandieri, forse qualche altro proviene da Pejo). Accanto sono state lasciate le auto che dall’alto del sentiero si vedranno mandare riflessi metallizzati di luce. Che il pellegrini sono numerosi lo si capisce cominciando a salire. La partenza è alla chetichella, ma dopo qualche passo ci si accorge che non si è mai soli. Ci si accorge di stare dentro ad un fiume appunto, che ha le anse e le svolte del sentiero. Ed è un fiume che ha i suoi affluenti, gli «scorciatoisti». Gli scorciatoisti sono quelli che preferiscono tagliare il sentiero. Di tanto in tanto spuntano dal crinale e magari per qualche decina di metri seguono il corso principale, poi tagliano di nuovo. Molte sono famiglie intere. Come ha detto qualcuno salendo, e come ripeterà anche Paolini dal palco, «non c’è quasi famiglia che non abbia qualcuno morto o congelato o salvo a stento in Russia». Ci sono tutti i nostri cognomi seppelliti dalla neve in Russia, ha detto l’attore.
Balzari è un nome che si è salvato. Tra quelli che salgono c’è anche il milanese Ugo Balzari, classe 1922, reduce del Don. A 84 anni si è fatto le due ore di salita (e la seguente discesa) come fosse un ragazzino. Paolini alla fine del suo spettacolo lo ha abbracciato, lui dirà che spesso ha pianto ascoltando l’attore.
I pellegrini di Paolini ogni tanto debbono fermarsi e accostare, per fare spazio alle Land Rover della protezione civile e del soccorso alpino, a quelle della polizia provinciale e della guardia forestale. Le auto gialle e i giubbini dello stesso colore fanno macchia e sono la prima cosa che colpisce quando sotto al Bozzi si alza la testa. Accanto al rifugio è stato allestito un tendone per il soccorso. Mentre il serpentone si sfarina atterra un elicottero dal quale scende fresco un onorevole leghista. A piedi è salito invece l’assessore alla Protezione civile della Provincia Corrado Scolari. Ieri chi è salito in montagna lo ha fatto davvero «con i piedi e con la testa». e.b.



----------------
Ama e ridi se amor risponde,
piangi forte se non ti sente,
dai diamanti non nasce niente,
dal letame nascono i fior.

Faber......

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Soggetto: Autore Data
   Escursione al rifugio Bozzi per il recital di Marco Paolini ConteOliver 12/8/2006 3:49
   » Re: Escursione al rifugio Bozzi per il recital di Marco Paolini ConteOliver 12/8/2006 4:17

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